Adrian Newey: il racconto di un passato che fa scuola per presente e futuro

Loris Preziosa
07/02/2025

La figura di Adrian Newey è universalmente riconosciuta come un’istituzione nel panorama del motorsport. Non solo le 223 vittorie maturate in una carriera che conta di 13 titoli piloti e 12 costruttori, ma anche un percorso da visionario e innovatore nell’ambito della tecnica in F1. Nell’ultima parte dell’intervista rilasciata a Michael Schmidt di ‘Auto Motor und Sport’, il progettista inglese ha regalato una finestra su alcune delle monoposto che hanno caratterizzato la sua carriera. Vetture che, per quanto facciano parte di una storia passata, permettono di tracciare un ideale collegamento con il presente, a valle del suo trasferimento dalla Red Bull all’Aston Martin.

Dalla Leyton House alla Williams: “ho portato in un altro team alcuni concetti su cui avevo lavorato”

Nella seconda parte dell’intervista, Adrian Newey aveva affermato come seppur non abbia ottenuto vittorie, la March 881 del 1988 è il progetto di cui va più orgoglioso. Sulla vettura che lo ha lanciato nel panorama dei grandi, ha raccontato come avesse numerosi concetti che sono stati poi ripresi negli anni successivi, tracciando una direzione tecnica per la F1. Fra le vetture del suo personale museo, Newey ha la Williams FW14, la prima su cui ha lavorato nella scuderia di Grove. “A dir la verità quando ho iniziato con la Williams nel luglio del 1990, la FW14 è stata la prima macchina che ho fatto per loro ed era per certi versi una sorta di Leyton House del 1991,” ha spiegato. “Prendeva spunto da alcuni concepts a cui avevo lavorato, portandoli in un altro team. Il telaio a V, il muso sollevato, l’abitacolo corto, la forma del cofano motore, gli end-plates anteriori, tutti questi concetti sono stati trasferiti.” Un concetto, quest’ultimo, che potremmo traslare al giorno d’oggi, con il suo passaggio in Aston Martin dopo una lunga carriera in Red Bull. Questa scuola di pensiero non esclude infatti che, in un futuro più o meno prossimo, sulle vetture della casa di Silverstone potremmo vedere alcuni concetti a cui Newey stava lavorando a Milton Keynes prima di lasciare il team. Non è più un segreto poi, che fra l’ingegnere britannico e la brigata Red Bull ci fossero delle divergenze in termini di idee di sviluppo.

Newey

Sul fil rouge dei suoi anni in Williams, Newey ha parlato quindi del suo forte apprezzamento nei confronti delle sospensioni attive. “È un qualcosa su cui avevamo iniziato a lavorare in Leyton House, ma con 50 persone era troppo ambizioso e quindi non siamo andati troppo lontano. Ma con la Williams c’erano le risorse e l’esperienza, quindi era il naturale percorso da intraprendere.” Ma cosa rende questo sistema così innovativo? “Quello che fa l’attivo è che ti consente di ottimizzare molto di più l’aerodinamica, perché ora c’è una finestra dell’altezza di marcia molto ristretta in cui la macchina deve operare, quindi per ottimizzare l’aerodinamica attorno a quell’altezza hai una finestra molto limitata.” Le sospensioni attive fanno ormai parte di un capitolo lontano di storia della Formula 1, ma cercando un collegamento con il presente Newey ha affermato in merito: “rimuoverebbero tutti i compromessi con cui tutti i team stanno faticando.”

Newey

Un esempio che fa scuola…

Il ‘genio della F1’ si è focalizzato anche sul lavoro compiuto nei suoi anni in McLaren, spiegando un concetto fisico che può essere decontestualizzato da uno specifico periodo storico. “Nel 1998 il più grande cambio regolamentare è stato quello di passare ad una carreggiata più stretta, da 2m a 1.80m e poi gli pneumatici intagliati. All’epoca c’era una scuola di pensiero per cui se avessi ridotto la carreggiata avresti dovuto ridurre anche il passo per mantenere lo stesso rapporto.” Una corrente tecnica che è stata completamente ribaltata da Newey. “Io ho ragionato sul fatto che gran parte del comportamento della macchina dipendesse dalla fase di curva, in cui ti trovi in diagonale in termini di frenata e sterzo, trasferendo tutto il carico sulla ruota anteriore esterna. Se hai una carreggiata più stretta ma non vuoi aumentare il carico sulla ruota anteriore esterna, l’unico modo è aumentare il passo. Così abbiamo fatto ed è sembrato funzionare piuttosto bene.” Una visione alternativa ma vincente che, se inserita nel contesto di un cambio di regolamento radicale come quello a cui assisterà la F1 fra un anno, rende l’idea di quanto l’Aston Martin disponga di una carta dal potenziale senza limiti.

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