Come funziona una galleria del vento: la chiacchierata tra Bobbi e l’ingegnere Tredozi

Mattia Barzaghi
05/01/2025

É risaputo che la galleria del vento è uno degli strumenti più importanti nella Formula Uno. Quest’ultima permette di studiare a pieno il comportamento aerodinamico della vettura e/o dei singoli componenti, cosicché le squadre possano migliorare sempre di più le performance in pista nei weekend ufficiali. Al giorno d’oggi le scuderie hanno un numero di ore limitato a stagione: il numero minore per il team campione in carica mentre il numero maggiore per il team classificato ultimo nella stagione precedente, il tutto per cercare di incrementare la competitività del mondiale. In una chiacchierata con Matteo Bobbi, l’ingegnere Gabriele Tredozi ha raccontato della metodologia che si è adottata nella galleria della conosciuta Fondmetal, spiegando le varie prove che si effettuano.

Come nasce un componente aerodinamico

“Innanzitutto per progettare un pezzo bisogna essere nel contesto del regolamento della forma geometrica del pezzo.” racconta l’ex Direttore Tecnico della Minardi. Successivamente si osserva la prestazione del singolo pezzo in cui si effettua lo studio del profilo e dei carichi ad esso applicati in base alla tecnologica che un team ha a disposizione. “Nella F1 passata non c’era così tanta confidenza con i CFD come c’è oggi.” fa sapere Tredozi. Un singolo elemento può essere infatti performante di numeri singolarmente, in base ai dati acquisiti in fase di progettazione, ma messo in macchina può restituire dati differenti in quanto ogni componente interagisce con tutto il resto. Di conseguenza, non sono rare delle possibili sorprese. Nonostante in galleria si effettuano dei test con modellini in scala 1:2, i carichi a cui sono sottoposti i vari pezzi non sono indifferenti: “Chiaramente su ogni pezzo, in scala 50/60%, ci sono dei carichi importanti da sopportare dato che in galleria si gira comunque a 180 km/h.” È fondamentale infatti che il pezzo abbia una prestazione meccanica significativa, in modo tale che non fletta.

Il processo di verifica attraverso la mappa aerodinamica

In seguito alla produzione di un determinato componente aerodinamico, quest’ultimo viene assemblato sul modello, sempre in scala 50/60%. Successivamente lo si confronta prima con il comportamento della vettura nella sua configurazione standard (quella usata come riferimento) e poi si fanno test specifici per analizzare come il pezzo influenza il comportamento aerodinamico della vettura. Questo test avviene creando una ‘mappa aerodinamica’, cioè una serie di ‘esperimenti’ in cui si prova la macchina a diverse altezze da terra, sia davanti che dietro. In questo modo, rapportando l’altezza anteriore con quella posteriore si comprende come varia il bilanciamento della vettura. Si misurano, in gradi, anche i movimenti della macchina, come il beccheggio (quando la vettura si inclina avanti o indietro, per esempio in frenata o accelerazione) e l’imbardata (lo spostamento laterale, come in curva). Mappe più ‘lunghe’ permettono test più accurati, ma richiedono maggior budget e tempo.

A maggior ragione, l’efficienza del tempo in galleria diventa fondamentale. Con ore limitate, è cruciale disporre di ottimi tecnici che permettano il cambio di pezzi durante la sessione per effettuare più test possibili nel miglior tempo possibile: “Per cercare di ottimizzare il tempo durante una sessione allenavo i tecnici della galleria per effettuare i cambi velocemente.”

Il lavoro dietro ogni guadagno: la sfida tra carico e efficienza

Passando ai singoli componenti, il diffusore è uno dei più importanti, ma è inserito in un contesto di un regolamento molto ristretto: “Il diffusore ha limiti imposti dal regolamento tecnico in termini di larghezza. È molto sensibile ai test ed è fondamentale disporre di un ottimo CFD (Computational Fluid Dynamics). Ai miei tempi certe volte si andava a sentimento oppure ci si limitava a osservare e si copiava quello che facevano gli altri.” racconta il tecnico italiano.

Fin dagli albori della Formula 1, e non solo, ogni team si impegna quotidianamente in una ricerca esasperata per guadagnare anche pochi centesimi di secondo, spingendosi spesso a sperimentare test ‘banali’, come afferma Tredozi: “Il bello della galleria del vento è che a me capitava, a fine giornata, di fare delle prove un po’ bizzarre assemblando vari pezzi singoli di carbonio sul fondo per vedere se c’era effettivamente qualche guadagno. Questa banalità ogni tanto ti facevano guadagnare mezzo o un intero punto di carico.”

Dopo aver progettato il componente aggiornato, che andrà poi assemblato sulla vettura in pista, quest’ultimo si testa in galleria in cui a parità di mappa aerodinamica si osserva come variano i valori di carico ed efficenza. L’ingegnere italiano afferma infatti: Quando si cerca di aumentare il carico aerodinamico, spesso si sacrifica un po’ di efficienza o viceversa. È una situazione che può essere accettata su alcune piste, perché ogni circuito richiede un livello di carico specifico per adattarsi al suo layout. L’obiettivo è sempre trovare il carico corretto per quella pista al miglior ‘costo’, cioè alla miglior efficienza (rapporto drag/carico). Una volta stabilito il carico necessario, si lavora per ottimizzare l’efficienza.”

La complessità della correlazione tra Galleria e test in Pista

È capitato – e capita soprattutto con l’ultima generazione di monoposto – che in galleria i dati di un determinato componente/pacchetto siano molto promettenti ma poi accade che nei test su pista si verifichi l’opposto, con il pilota che si lamenta di una vettura più nervosa e instabile e con gli ingegneri che dai dati percepiscono valori di carichi molto differenti da ciò che si è osservato in galleria. In questo caso si riparte dai dati aerodinamici che acquisiamo durante test a velocità costante in rettilineo (test che tutt’ora viene effettuato ogni tanto in prova libera) grazie al tubo di Pitot (utile per calcolare la pressione aerodinamica) e alle celle di carico (sensori che misurano con precisione le forze generate dall’aerodinamica sulla vettura). sottolinea l’ex direttore tecnico della Minardi. Ovviamente, a differenza della galleria del vento, nella realtà l’asfalto può presentare diverse sconnessioni e quindi non si riesce a ricostruire al 100% le condizioni prestazionali che si sono create in galleria. “Se dopo aver modificato l’assetto, con in particolare modifiche alla rigidezza e alle altezze da terra, non si vedono ancora i risultati si prende una decisione: tornare indietro o continuare a testare anche nei weekend ufficiali. Oppure, in base al layout della pista, si scambiano continuamente i componenti.” fa sapere Tredozi. Un esempio è stata Red Bull quest’anno, la quale nella seconda parte di stagione ha introdotto in Ungheria un retrotreno completamente ridisegnato, ma che è stato utilizzato inizialmente solo nelle piste ad alto carico, poi sul finire della stagione anche in quelle da più basso carico.

Tredozi sottolinea però che “ad un certo punto bisogna decidere che strada intraprendere, anche se i due pezzi sono vicini di prestazioni e non costanti, perché quel componente impatta sugli sviluppi futuri. Di conseguenza, se dopo svariati test non se ne esce fuori si apprende che il problema è proprio la correlazione galleria-pista. Nella F1 di oggi infatti pochi dettagli fanno la differenza e le aree di guadagno sono molto strette. Tutto ciò porta ad una ricerca esasperata della prestazione che ha portato per alcuni team ad una correlazione non adeguata sia in termini positivi che soprattutto negativi, come per esempio Racing Bulls con il pacchetto introdotto a Barcellona, o Ferrari sempre in Spagna in cui é ricomparso il bouncing seppur non ci sia stato nessun problema di correlazione.

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