Matteucci: “Come porto i miei ragazzi al professionismo. Fornaroli? Umile e fortissimo”

Jacopo Moretti
18/03/2025

Il fondatore della Matteucci Management, Gianpaolo Matteucci: “Sognavo di fare il pilota, sono finito dall’altra parte della scrivania. La cosa più difficile? ? Creare un ambiente corretto e individuare obiettivi chiari”. Tra i piloti di punta della sua agenzia c’è ora Leonardo Fornaroli, campione Formula 3 della passata stagione e che oggi corre nel campionato di Formula 2.

 Come nasce la Matteucci Management?

“Nasce ancor prima della mia laurea in legge, come qualcosa di estremamente legato al mio passato. Sono cresciuto in un ambiente che definirei profondamente sportivo: papà è stato uno dei pionieri nel campo dell’allenamento a livello internazionale, mamma insegnante di educazione fisica di liceo classico”.

Insomma, a casa si parlava solo di sport.

“Esatto, tranne che di quello che piaceva a me, ovvero l’automobilismo. Già all’epoca si trattava di uno sport decisamente costoso e per il figlio di due insegnanti era praticamente impossibile farcela. Così mi sono comprato un go-kart di terza mano. Giravo quando potevo, giusto qualche ora il fine settimana”.

Però lei non ha fatto il pilota.

“Infatti. Contemporaneamente alla pista portavo avanti il mio praticantato in legge e tra i clienti di studio c’era il padre di uno dei piloti più in vista del momento. Riuscii a dargli una mano, risolvendo alcuni problemi, e da lì i clienti arrivarono uno dietro l’altro. Non mi servì molto per capire che la carriera da pilota non facesse per me, così decisi di sedermi dall’altro lato della scrivania, ossia quello del manager”.

Di cosa si occupa ora?

Uno dei miei compiti è quello di creare l’ambiente ideale per la crescita di un pilota. Non mi occupo di tecnica, ma degli aspetti strategici, della pianificazione della carriera, della scelta dei team e delle categorie. Essendo molto interessato agli aspetti relativi alla performance umana, mi è più semplice riuscire ad individuare i migliori collaboratori per comporre lo staff che seguirà il ragazzo in ogni singola fase della sua preparazione. È come una sorta di orchestra, della quale io sono il direttore ma sono i miei collaboratori a suonare la migliore musica. Anche se quando si va in pista si crea quasi automaticamente una connessione diretta

Perché?

Credo si generi una sorta di connessione psicologica. Specie nella prima parte della carriera i piloti mi vogliono sempre con loro, è come se si sentissero protetti dalla mia presenza nel box. Certo, non è un concetto che vale per tutti. I ragazzi che vengono dall’est vivono meno questo senso di emozioni, quelli del nord Europa quasi per niente”.

Passiamo ai suoi clienti, i ragazzi. Come scelgono di inseguire la carriera del pilota?

La gran parte delle volte quello che fanno è una proiezione delle idee dei genitori. Intendiamoci, se un bambino a cinque anni si ritrova su un kart non è perché l’abbia chiesto o deciso lui, ma normalmente perché dietro c’è un papà che in quelle quattro ruote rivede il proprio passato. Ecco perché spesso si tratta di figli di ex piloti. Da lì la loro vita cambia. Vivono un’adolescenza diversa dai loro coetanei, con pressioni altissime, , spesso legate alla necessità di ottenere risultati”.

Chi sono normalmente questi padri “ingombranti”?

Per la maggior parte imprenditori. La cosa più difficile è fargli capire che quel ragazzo, oltre che loro figlio, ora è anche un mio pilota e quindi se vogliamo farlo crescere è necessario stare a certe regole. Questa idea, specie all’inizio, è difficile da accettare ma essendo imprenditori di successo, capiscono presto che il loro ruolo è quello di finanziare la formazione del ragazzo. Al resto ci pensiamo noi.

Cosa si cerca in un futuro pilota?

Facendo un discorso molto concreto, all’inizio sono due i requisiti necessari. Il primo è la disponibilità economica della famiglia. Se un tempo avere un talento naturale poteva essere abbastanza, oggi il motorsport è sempre più costoso e senza un supporto è difficile proseguire. Siamo di fronte a campionati che durano un anno intero e dove occorre spostarsi in giro per il mondo, capisce che senza un po’ di aiuto diventa complicato. Poi serve coraggio. Se un ragazzino ha paura, ed è normale che la abbia dato che nessuno nasce per andare a 300 km/h, allora non ha senso continuare. Solo chi dimostra una certa intraprendenza può avere l’indole per fare questo mestiere”.

L’istinto non conta?

 Dopo tanti anni, è l’esperienza a far notare certi particolari. Un futuro talento cammina in un certo modo, ragiona in un certo modo e spesso è poco incline alla socialità. Questo non perché sia in difficoltà con gli altri ma semplicemente perché è cresciuto più con meccanici ed ingegneri che con i suoi compagni di classe”.

La scuola… appunto. Come vivono il rapporto con lo studio i suoi ragazzi?

Nella maggior parte dei casi è normale saltare tanti giorni di scuola e alla lunga molti ragazzi smettono presto, specie i più forti. Poi ci sono delle eccezioni. Alcuni dei miei piloti stanno finendo il liceo o addirittura l’università perché io spingo affinché portino a termine anche questi percorsi. La cultura è un vantaggio, in ogni settore, e anche nel motorsport un pilota che ha studiato ha una mente più aperta e sa gestire meglio i problemi. Leonardo Fornaroli, ad esempio, è regolarmente iscritto all’università e quest’anno corre in Formula 2! Niko Lacorte è un eccellente liceale, e corre in Formula 3″

Fornaroli

Ormai si sente parlare solo di piloti membri dell’una o dell’altra academy. Sono così importanti?

Si, abbiamo assistito, negli ultimi anni, alla progressiva crescita del fenomeno delle Academy. Sono strutture che danno supporto e sostegno per la crescita del pilota, considerando che ogni team cerca profili con determinate caratteristiche. In questo senso le academy dei team sono molto importanti e danno possibilità altrimenti difficili da raggiungere”.

Ad esempio?

Sentire un pilota in radio. Vi assicuro che essere in Formula Uno ed ascoltare un titolare, che sia nelle comunicazioni con il muretto box o nei briefing, vale molto di più di qualsiasi consiglio ti possano dare durante la tua carriera. Anche il rapporto con gli ingegneri è tutto: capire quello che cercano in un pilota, quali indicazioni vogliono… sono esperienze fondamentali”.

 La gestione di un pilota passa anche dagli aspetti extra-pista. Un pilota oggi è anche un “pacchetto mediatico”?

Qui devo farle una confessione. Fino a poco tempo fa ero convinto che i social fossero poco più che una manifestazione di esibizionismo condiviso. A casa non ho nemmeno la televisione, preferisco leggere, quindi può ben capire che sono uno a cui piace farsi gli affari propri. Poi però ho scelto di osservare, soprattutto i miei figli, e in breve mi sono reso conto che a livello professionale prescindere dai social non è più possibile. Oggi un pilota è sui social media perché così è possibile preparare un pacchetto mediatico per attirare gli sponsor. Intendiamoci, quasi sempre si tratta di un’immagine costruita, che non corrisponde alla vera attitudine del ragazzo, ed è forse questo che ancora i più giovani faticano a capire. Loro vedono i propri profili social come qualcosa di personale, ma ad un certo livello non è più così”.

 Com’è lavorare con Leonardo Fornaroli?

Leonardo è uno dei piloti più straordinariamente talentuosi che io abbia mai avuto il piacere di gestire. È un ragazzo umile, credo che spesso non si renda nemmeno conto di quanto sia forte. È con me dalla Formula Regional e ricordo che pochi giorni dopo il suo arrivo fece un test con la Trident. Bastò qualche giro e il Team Principal dell’epoca, Giacomo Ricci, si avvicinò e mi disse: “io questo pilota lo voglio a tutti i costi”.

Fornaroli

Insomma, fenomeno fin da subito?

In parte. Leonardo arrivò da noi come un ragazzino con dei buoni risultati ma nulla in grado di farci prevedere il titolo in Formula 3. Con lui abbiamo impostato un lavoro di crescita davvero importante. Non in tutto, alcune capacità non le abbiamo toccate, come quell’incredibile dote che gli permette di gestire brillantemente lo stress e le situazioni complesse in gara. Per Leonardo abbiamo selezionato i migliori collaboratori per seguirlo nella preparazione fisica, mentale, dieta…tutto

Quanto è diverso Leonardo oggi?

È semplice. Basta prendere una foto di quattro anni fa, quando Leonardo si è unito a noi, e una di adesso, magari di 2 giorni fa a Melbourne. Vedrete due persone che non sono neanche lontanamente parenti. Oggi parliamo di un terminator, uno che fa paura, e non solo a livello fisico, ma anche a livello di attitudine. Quel che apprezzo di lui è che sa sempre quando deve parlare. Molti piloti hanno questa tendenza a voler quasi “riempire” il silenzio. Questo con Leonardo non succede mai, è un ragazzo straordinariamente intelligente”.

Pensa che arriverà in Formula Uno?

Non lo penso, lavoriamo perché succeda. Un ragazzo che fa certe cose in pista non può non avere come obiettivo la Formula Uno. Poi bisogna essere consapevoli che in griglia ci sono 20 macchine e non più 45 come un tempo, per cui possono intervenire tanti fattori, favorevoli e non. Oggi finalmente l’Italia torna ad avere un pilota in F.1, Antonelli, ma perché non dovremmo avere un altro italiano in futuro? Il nostro Paese ha due GP in calendario ed è giusto credere che ci saranno le condizioni per farcela nonostante un ambiente sempre più americano”.

 Ultima domanda. Un consiglio ai manager del futuro?

La preparazione è tutto. Una laurea e la conoscenza delle lingue sono ormai requisiti fondamentali, cercando di essere sempre seri e professionali. La certezza è che alla lunga il percorso più faticoso è sempre quello che porta i più grandi successi”.

Autore